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Abbiamo intervistato ALESSIO VITO che ci ha parlato del suo nuovo album dal titolo "SOTTOVUOTO", delle nuove canzoni, dei progetti futuri e molto altro.
Buona lettura.

1. Chi è ALESSIO VITO secondo ALESSIO VITO?
Ciao ragazzi e grazie mille dell’invito. Alessio Vito è un ragazzo semplice, nato e cresciuto in un piccolo paesino di provincia nel cuore dell’Irpinia tra le strade, le montagne, i bar, le suore, le chiese, la scuola, gli amici, un pallone ed una chitarra arrivata così all’improvviso. Alessio è cresciuto in una famiglia “normale” ma con solide basi; madre casalinga e padre impiegato sempre presenti un fratello maggiore e i nonni che, come spesso accade dalle mie parti, hanno badato non solo ai figli ma anche ai nipoti per il presente e il futuro. Qui sono cresciuto con dei sani principi, immerso tra antiche tradizioni, usanze e costumi (che ahimè stanno sparendo a vista d’occhio dentro e fuori), con tutte le loro qualità e le loro contraddizioni; la musica, quella, è venuta dopo e direi fuori dal contesto in cui sono cresciuto.
Oggi Alessio, a dispetto degli anni, credo sia esattamente quel ragazzo lì, con tanta più esperienza, chilometri, conoscenze, consapevolezze, insicurezze, forse qualità o semplicemente una visione più ampliata delle cose.

2. Come definiresti la tua musica in tre aggettivi?
Sincera, curata e direi coraggiosa; ecco forse questi sono gli aggettivi che più si addicono alla mia musica. Poi non amo etichettare ciò che faccio, preferisco sia l’ascoltatore a farlo anche perché non sono proprio uno che si fa tanti complimenti.

3. Ascoltando il tuo nuovo lavoro “SOTTOVUOTO” ci si ritrova coinvolti in un vortice di melodie da cui è difficile uscirne. Innanzitutto: Come è nato questo lavoro? Quali sono le idee che sono alla base delle canzoni che lo compongono?
Vi ringrazio molto; “SottoVuoto” nasce certamente da un’esigenza che è quella di raccontare, di trasmettere, di liberare liberandosi e, spero, di emozionare. È un disco che prende vita in questi ultimi anni e si nutre delle diverse esperienze artistiche e di vita maturate: ho viaggiato molto, ho conosciuto molto, sperimentato molto, gioito, sofferto, bestemmiato, forse amato. Ho scritto i 9 brani se vogliamo in una fetta di
tempo abbastanza ampia, alcuni li ho lasciati lì per poi ritornarci successivamente eppure sembrano ruotare ostinatamente intorno ad alcuni temi predominanti. Non mi sono svegliato una mattina e ho detto “farò un nuovo disco di 9 brani”, se scrivo lo faccio per necessità, quando ne sento il bisogno e ho qualcosa da dire, non mi capita quasi mai di sedermi a tavolino e dire “ok scrivo una canzone”. Durante il mio periodo di permanenza in terra francese ho poi maturato l’idea e la convinzione di registrare l’album, sentivo che i tempi erano maturi, sentivo che potevo per certi versi controllare le emozioni e farle convergere con tutto il lavoro che c’è dietro un album, ho trovato la giusta motivazione e spinta per farlo. Così insieme al buon amico e fonico Emilio Capuano con cui ho prodotto, arrangiato e registrato il disco, ho iniziato quest’avventura con grande dedizione e cura dei particolari, nei testi o meglio nelle parole, negli arrangiamenti, nella scelta dei suoni e degli strumenti. Ho voluto anche per questo registrare parte del disco proprio oltralpe coinvolgendo non solo amici e musicisti di vecchia data ma anche musicisti e nuovi compagni di viaggio francesi che hanno creduto in quelle canzoni. Nell’album, come lo stesso titolo suggerisce, è chiaramente presente una situazione di instabilità, una pressione costante, una continua ricerca di qualcosa, una riflessione sulle “cose fatte e i pensieri avuti” ma infondo, credo, anche un forte senso di riscatto, di liberazione. Le idee alla base sono essenzialmente degli sprazzi di vita.

4. Puoi parlarci della bellissima copertina del tuo nuovo disco?
La copertina è opera dell’amica e bravissima grafica Vittoria Capuano. L’idea era un po’ quella di “metterci la faccia” (o meglio un lato di essa XD) per mostrare anche come il tempo livelli e trasformi la nostra immagine. Ho definito spesso questo disco come un punto di arrivo che spero presupponga una nuova partenza quindi, ecco, questo è il mio aspetto in questo momento e questi sono i segni del tempo che mi porto addosso come quei capelli e quella barba bianca ben in evidenza a dispetto dei 30 anni XD. Anche l’idea della grafica in vettoriale e minimale è un po’ in contrasto con i contenuti musicali, testuali e i concetti esplicitati nei brani. Un’immagine semplice che in realtà cela ben più irti e complicati significati e significanti.

5. Prendendo spunto dal titolo di un tuo nuovo brano “Canzone scritta male”, quali sono oggi i tre rischi di chi scrive canzoni?
Non so se scrivere canzoni sia un rischio, di certo ci si espone molto poiché in un modo o nell’altro c’è qualcuno che le ascolta. Direi che il primo rischio è quello di passare inosservati e questo credo sia il male peggiore; l’idea di chi scrive per sé (il famoso foglio nel cassetto) mi affascina ma quando si scrive qualcosa, quando si crea qualcosa, si ha il desiderio di mostrarla anche solo ad un amico. Il fatto che qualcuno sia indifferente ad una tua creazione rappresenta un fallimento, direi. Una canzone può piacere o non piacere ma se lascia indifferenti c’è da rifletterci. Potrei dirti che uno dei rischi è quello di essere fraintesi ma qui però c’è da fare delle distinzioni; quando si scrive una canzone una delle cose più belle ed anche più riuscite è quella dell’assimilazione e della personalizzazione da parte dell’ascoltatore che riporta quel brano ad una sua esperienza, ad un suo fatto personale. Che io l’abbia scritto per il bianco e lui ci veda il nero è un fraintendimento che non mi dispiace, anzi rende quel brano universale e appartiene in qualche modo non solo a chi lo scrive ma a chi lo ascolta. Diverso è se parliamo di canzoni di denuncia o perché no di accusa a sfondo politico e sociale; lì c’è da stare attenti perché spesso il messaggio può essere frainteso soprattutto da chi ha tra le mani il potere. Di esempi di fraintendimenti, soprattutto oggi e in alcune zone del mondo, ne abbiamo a gogò e spesso con gravissime ed inaccettabili conseguenze per gli artisti. La musica può e deve essere un canale di comunicazione, informazione, unione e se necessario denuncia sociale. Se mi parli di oggi la banalità è probabilmente uno di questi altri rischi e mi riferisco alla componente testuale come a quella musicale; se da un lato è bene che ci sia tanta musica e tanti che si cimentano nello scrivere canzoni, dall’altro è anche vero che la quantità non è nella maggior parte dei casi sinonimo di qualità. I social hanno fortemente influenzato la scrittura, gli hashtag hanno sostituito la poesia e i verbi e gli aggettivi sono andati a farsi un giro, si passa ormai dal soggetto al complemento, quando ci va bene che ci sia il soggetto. Forse è una moda? Sarà passeggera? Beh non saprei anche io uso gli hashtag, per carità, ma con le dovute differenze di contesto e destinazione.

6. Quali sono i tuoi progetti futuri?
Certamente suonare, suonare, suonare; tornare finalmente alla dimensione più naturale per un musicista che è il palco, il live e l’incontro con il pubblico. Per cui, appena sarà possibile vorrei organizzare una grande festa-concerto di presentazione del disco full band con tanti amici e ospiti per poi partire con un tour; intanto sto lavorando al video-clip del prossimo singolo e ho in mente un paio di sorprese che spero di riuscire a realizzare. Guardando oltre, chiaramente, ti direi sto pensando già al prossimo album.

7. Se dovessi consigliare tre band contemporanee, quali sceglieresti?
Ecco, questa è una domanda difficile a cui non credo di saperti rispondere in maniera netta ed elencativa, uno perché ascolto tanta musica e adoro tanti artisti di generi e stili diversi, due perché ci sarebbe da chiarire il concetto di contemporaneità ma anche perché parlando di contemporaneità dal punto di vista temporale non riesco a trovare qualcosa di oggi mi faccia dire “wow”. Con qualcosa di oggi non mi riferisco alle produzioni ma proprio alla nascita di band e progetti musicali; perché se volessimo parlare di uscite ti direi “Wow” per esempio del nuovo album di Paolo Benvegnù “Dell’odio dell’innocenza” ma è comunque un’artista che nasce in altra epoca. Per chiarire il mio concetto di contemporanietà, invece, potrei dirti che i Genesis o, che so, i Depeche Mode (tanto per intenderci) potrebbero essere molto più contemporanei del gruppo nato nel 2019 con già due album all’attivo e migliaia di fan, così come un Antonello Venditti potrebbe essere per certi aspetti della sua scrittura più contemporaneo di un qualsivoglia cantante “indie”, solo che tra i due ci saranno quarant’anni di differenza e quindi quarant’anni di evoluzione. Quindi per me non è facile il concetto di “contemporaneità”. Poi, invece, se volessimo parlare di contemporaneità temporale ci sono tante realtà interessanti in giro, tantissime e quasi tutte concentrate in piccolissimi circuiti indipendenti; tralasciando le band più note al grande e medio pubblico, molte le ho scoperte per caso andando in giro ad ascoltare live in piccoli club o locali sperduti per poi successivamente approfondire la loro discografia. Penso ad esempio a scoperte più o meno contemporanee come quelle delle Coma Berenices, dei 23 and Beyond the Infinite, U’Papun, Zoulouzbek Band e tantissimi altri. Però più che fare dei nomi mi sento di consigliare semplicemente di ascoltare, ascoltare, ascoltare molto e senza troppi preconcetti, poi ognuno farà le proprie scelte. In un mondo in cui si è persa l’abitudine all’ascolto e si è passati piuttosto al sentire, mi basterebbe già questo.