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GODOT. pubblica un nuovo singolo dal titolo "Ultraleggero", disponibile su tutte le piattaforme digitali da giovedì 3 ottobre 2024, in distribuzione Believe Music Italy. Un racconto nato per caso in un modo forse molto meno romantico di quanto invece la canzone non voglia essere, un nuovo capitolo che segue il precedente singolo "Granelli" e il successivo "A mio figlio non darò nome" per proseguire il viaggio, dopo un periodo di assenza, verso un nuovo disco del cantautore di stanza a Milano, classe 1993. Una storia fatta di cuori leggerissimi, giovani e un po’ incoscienti, pronti ad alzarsi in volo e a scrivere la trama della propria vita. 

È stato il capitolo, questo singolo di GODOT. che più di tutti ci ha fatto innamorare di un progetto di cui non vediamo l’ora di ascoltare qualcosa di nuovo. Ne abbiamo parlato proprio con lui.

1. Rispetto al tuo precedente disco, in questi nuovi singoli ti percepiamo più leggero, forse non proprio ultraleggero, ma comunque più leggero. È solo una sensazione? Cos’è cambiato quest’anno? 

Il disco precedente era una grande raccolta di brani scritti anche in anni molto diversi: La giostra è una canzone del 2014 mentre Controtempo del 2018, per esempio. Questi ultimi singoli e il disco in generale, al contrario, sono frutto di un progetto concepito in una parentesi abbastanza ristretta, in cui avevo molto chiara l’idea di cosa raccontare e di come farlo. C’è sicuramente una leggerezza dovuta al fatto che ero e sono più consapevole di chi sono: come uomo ma anche come musicista. C’è comunque tanta malinconia eh, quella è in assoluto la mia cifra stilistica, ma è appunto cantata in maniera più adulta e integra. 

2. E a proposito, di cosa parla “Ultraleggero”?

Ultraleggero è una racconto, una narrazione che parte dalla periferia per arrivare fino a Milano. La storia è quella di Pietro e Roberto, due giovanissimi-innamoratissimi che decidono di lasciare la provincia per poter vivere più liberamente il loro amore. Amore che però è anche quello verso le automobili, che li porterà quindi di aprire insieme una carrozzerie che poi, per l’appunto, prenderà il loro nomi: "Carrozzeria di Pietro e Roberto”. È una canzone che si muove in bilico tra realtà e fantasia. Ma è una storia che mi è piaciuto moltissimo poter cantare e che sono davvero felice di aver scritto. 

3. Dici che questo brano è nato quasi per caso. In che momento della tua vita? E in che momenti di solito nascono i tuoi brani? 

È nato in un momento molto sereno: era un pomeriggio e stavo buttando giù qualche idea per nuovi brani. Il telefono salvava ogni memo vocale con il nome della carrozzeria che ho sotto casa, credo per motivi di geolocalizzazione…e appunto questa carrozzeria si chiama “Carrozzeria di Pietro e Roberto”. Ad un certo punto, riascoltando le varie tracce, mi sono reso conto di quella valanga di “Pietro e Roberto” che comparivano nella mia lista di note vocali. Ho premuto play e ho iniziato a scrivere la loro storia. È stato un processo naturalissimo e estremamente veloce, come in realtà succede per la maggior parte delle canzoni che poi decido di portare in studio. Spesso quelle su cui rimango troppo tempo poi perdono un po’ della loro purezza sotto ad un accumulo di revisioni non sempre necessarie. 
 
4. Come sono cambiate le cose per te dai tempi in cui hai detto che te ne saresti andato a Londra? Hai vissuto veramente all’estero? E come ti ha aiutato questa cosa, musicalmente? 

Ho vissuto all’esterno ma è stato molto prima del mio primo EP. A 19 anni sono andato a vivere in Cambogia, dove sono rimasto quasi due anni. Un’esperienza magnifica che musicalmente forse non mi ha cambiato tanto, ma ha cambiato tanto la persona che sono e quello ha poi chiaramente inciso moltissimo sulla mia scrittura. Oltre a ciò, non credo avrei mai intrapreso questa avventura musicale se non avessi dato a me stesso la possibilità di scoprirsi e conoscersi meglio come appunto ho fatto in quella esperienza dall’altra parte del mondo! 

 

5. Sta per arrivare un disco nuovo? E come sarà?

Sarà, prima di tutto, un disco che sperò possa lasciare qualcosa a chi lo ascolterà. È un disco che ruota molto intorno al concetto degli “addii”, una delle cose che temo di più e che mi riesce peggio. Canto tanti addii: a luoghi, a persone, ad amori, alla musica. È un disco molto intimo, a voler ben vedere, ma spero possa accompagnare anche solo piccoli tratti di vita di chi avrà voglia di ascoltarlo.