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É uscito venerdì 5 aprile 2024 su tutte le piattaforme digitali (in distribuzione Believe Music Italy) il nuovo singolo di GODOT. dal titolo "A mio figlio non darò nome": una canzone molto intima e allo stesso tempo universale, con due livelli di lettura, in superficie racconta di un ipotetico futuro figlio e di come il cantautore vorrebbe crescerlo, con quali valori e quali sensibilità. Ad uno livello poi più profondo, canta di come la nostra società sia nelle mani delle generazioni future, alle quale auspica la capacità di guardare oltre. Oltre i confini, oltre l’aspetto esteriore, oltre ciò che viene considerato “diverso”.

È una canzone che parla di alterità e di come questa sia una ricchezza, ma parla anche di flussi migratori e identità di genere. Il concetto di non dare un nome al proprio figlio si lega all’idea dell’autodeterminazione dell’individuo: alla possibilità di essere esattamente chi ci si sente di essere, senza filtri legati a costrutti sociali.

Un brano sul futuro, su ciò che abbiamo imparato, come generazione che ha dovuto imparare ad ascoltare, e un brano come questo può essere la lezione migliore che ascolterete oggi.

1. Questo brano ti pone nella condizione di essere un ipotetico genitore. Come mai ti è venuto di pensarti in questo ruolo, e come mai proprio ora?

In realtà l’ipotetico figlio di cui canto divento pretesto per parlare, in modo più generale, del nostro futuro. A mio figlio non darò nome è infatti una canzone che parla di come immagino e spero possa essere il domani: un luogo inclusivo, accessibile, in cui l’autodeterminazione di sé sia davvero possibile.
Ecco, quindi, che la mia è più che altro una lettera alle generazioni che verranno, un augurio nella speranza che tante barriere vengano presto abbattute.

2. In che modo questo brano può essere intrecciato con “Granelli”, il tuo precedente singolo?

Sicuramente il primo intreccio è quello della produzione e dell’arrangiamento. L’intero disco, anticipato ad ora da Granelli e A mio figlio non darò nome, traccia un momento ben definito della mia vita. E così ho voluto che suonasse tutto in modo molto coeso. Oltre ciò, Granelli e A mio figlio non darò nome sono due canzoni nate nel giro di pochi giorni, tra il marzo e l’aprile 2020, in pieno lockdown. Sono stati i due pezzi che mi hanno fatto dire “ok, voglio scrivere un altro disco!”

3. Quanto ha influito il cantautorato italiano nella tua formazione e nelle tue influenze musicali? E quanto spazio e importanza ha un testo in un tuo brano?

Sono un grande amante e ascoltatore del cantautorato italiano, e credo questo si senta nella mia musica. Ogni tanto, riascoltandomi, avverto io stesso delle cadenze o dei rimandi, in particolar modo alla musica di De Gregori che è quotidianamente nelle mie orecchie. Lo ascolto da sempre ed è sempre stato il mio artista di riferimento.
Ed è forse la sua poeticità ad avermi portato ad amare così tanto lo scrivere canzoni. Per me il testo è il cuore di tutto, è nel testo e nelle sue immagini che raccolto tutto il significato che voglio trasmettere. Dopodiché ovviamente cerco di far corrispondere tutto con un arrangiamento che sia inerente…ma devo ammettere di sentirmi, in primis, un autore e solo poi un musicista.

4. In quali luoghi hai vissuto? E quale è stato il più importante per te?

Ho avuto la fortuna di vivere tante esperienze nella mia vita. Dall’Africa all’Asia, passando per lunghi mesi in Inghilterra o in Spagna. Probabilmente i due anni in cui ho abitato in Cambogia, a Phnom Penh, sono stati i più importanti a livello esperienziale. Ma cerco comunque di potarmi sempre qualcosa con me, che sia il ricordo di un luogo che ho approcciato solo di sfuggita oppure l’amore per un luogo che ho potuto chiamare casa.
Cadaqués, ad esempio, mi ha insegnato l’amore per il mare, che fino a 22/23 anni non amavo. Ci ho passato molti mesi, lavorando ma ritagliandomi anche molto spazio per la scrittura. Phnom Penh è stato uno tzunami nella mia vita e mi ha insegnato la bellezza del perdersi e l’importanza del cammino, del viaggio.
Da qualche anno ormai sono un po’ più sedentario per motivi medici, ma i tanti luoghi vissuti durante la mia vita sono sempre con me. E, per fortuna, amo Milano!

5. Hai trovato delle anime complici?

Certo! Alcune mi accompagnano da una vita intera, altre hanno affrontato con me solo un tratto di strada per poi allontanarsi, altre ancora arriveranno.
La vita ci cambia e noi stessi cambiamo la vita che viviamo. Va da sé che questo comporta una naturale necessità all’evoluzione che potrebbe non coincidere con la stessa necessità altrui. Oppure potremmo essere noi a non essere pronti o pronte per un cambiamento che un’altra anima è pronta a compiere.
Continuare a scegliersi, in qualsiasi sfera della vita, è complesso. È giusto provarci tanto quanto è giusto poter lasciare andare.
Ho trovato anime complici e tuttora ne sono circondato. Sono felice!