Abbiamo intervistato MITCH AND THE DJED che ci hanno parlato del loro nuovo disco, delle nuove canzoni, del loro mondo musicale, dei loro progetti futuri e molto altro.
Buona lettura.
1. Chi sono MITCH AND THE DJED secondo MITCH AND THE DJED?
I Mitch And The Djed sono nati come un gruppo di quattro ragazzi di 25-35 anni con diverse esperienze in tribute band e cover band alle spalle, ma tutti accomunati dallo stesso obiettivo: il desiderio di cimentarsi con un progetto di musica inedita in lingua inglese. La scelta di cantare in inglese, per un gruppo originario di Brescia e che ha il mercato italiano come primo punto di riferimento, potrebbe a prima vista sembrare strana. In realtà, è una decisione quasi “naturale” perché è una lingua che si sposa bene con le sonorità che abbiamo in mente, ispirate alla musica della West Coast americana e al Southern Rock (un mix di rock, country e blues). Siamo anche una “fucina di idee”, in cui convergono e si amalgamano diversi stili e preferenze musicali, ed il risultato finale è un sound tutto particolare, difficilmente inquadrabile in un unico genere musicale. In particolare, il cantautore e fondatore Massimiliano “Mitch” Maffeis è un grande appassionato di Neil Young, Bob Dylan ed Elvis Presley. Il batterista Stefano Bonetti è un patito del rock inglese anni ’70 (Pink Floyd, Led Zeppelin, Deep Purple). Il bassista Levi Alghisi è un appassionato di jazz ed il chitarrista Francesco Bono è un patito dell’hard rock. Federico Maffi, che è subentrato nel nuovo chitarrista solista, ed Alessio Mineni, un bassista che ha collaborato con noi in alcune date live, pur essendosi trovati con le parti “già fatte”, sono ugualmente riusciti a dare la loro personalissima impronta alle canzoni durante le esecuzioni dal vivo.
Insomma, avere preferenze musicali diverse per noi non è affatto un ostacolo, anzi è quasi uno stimolo a dare il meglio di noi e a sfoderare tutta la nostra creatività.
2. Da dove deriva il vostro nome?
Il nostro nome significa letteralmente “Mitch e lo Djed” ed è quindi l’unione di “Mitch”, che è il nome d’arte del nostro cantautore e frontman Massimiliano, e dello Djed (pronunciato “ged”), che è un simbolo dell’Antico Egitto collegato al culto del dio Osiride. Il riferimento allo Djed ha un doppio significato. Innanzitutto, essendo un emblema della vita eterna, simboleggia la speranza che la nostra musica possa lasciare una traccia piccola, ma indelebile nel tempo. Inoltre, è un omaggio di Mitch ai propri antenati e, in particolare, al proprio trisnonno di origini Egiziane.
3. Come definireste la vostra musica? Se doveste dare tre aggettivi alla vostra musica, quali scegliereste?
La nostra musica è, prima di tutto, “genuina” perché nasce da esperienze concrete, vissute in prima persona da Mitch e narrate in modo schietto, senza alcun tipo di filtro o di pregiudizio. Per questo, chiunque (a partire dagli altri membri della band) si può ritrovare nelle vicende che raccontiamo, anche se le ha sperimentate sulla propria pelle in un periodo diverso della propria vita, in circostanze differenti e con tutt’altre persone. In secondo luogo, la nostra musica è “evocativa”. Tutti gli elementi delle nostre canzoni (la melodia, gli arrangiamenti, il testo e addirittura le singole parole all’interno del testo) sono scelte in modo da ricreare il più possibile nella mente dell’ascoltatore le stesse sensazioni provate da Mitch quando ha ideato la propria musica. Infine, anche se può sembrare un controsenso, la musica che suoniamo è in qualche modo “colorata”. Il fatto che Mitch abbia creato la base di ogni canzone e che, per il resto, abbia lasciato agli altri componenti della band piena libertà di espressione, trasforma ogni brano in un quadro costellato da una moltitudine di colori, dalle tinte sia calde che fredde, che si fondono e si amalgamano tra loro.
4. Cosa rappresenta per voi la musica (la vostra e quella che ascoltate)?
Per noi, la musica è un potente strumento di comunicazione: è un linguaggio universale, che tutti capiscono e che è in grado di arrivare direttamente al cuore di chi l’ascolta. Pensiamo che un musicista abbia raggiunto il proprio obiettivo se i suoi brani in qualche modo “colpiscono” il pubblico ed invogliano le persone a riascoltarli. Per questo motivo, preferiamo gli artisti che hanno una storia da raccontare e le canzoni che trasmettono un messaggio chiaro e sincero all’ascoltatore e, chiaramente, ci auguriamo che la nostra musica sortisca lo stesso effetto nella mente e nel cuore di chi ci ascolta.
5. Ascoltando il vostro ultimo lavoro, ci si ritrova coinvolti in un vortice di melodie da cui è difficile uscirne. Innanzitutto: Come è nato questo lavoro? Quali sono le idee che sono alla base delle canzoni che lo compongono?
I brani prendono tutti spunto da esperienze vissute in prima persona da Mitch nell’arco di 5-6 anni, a partire da una gita scolastica “non voluta” in Spagna, per concludersi con una vacanza in Irlanda, passando attraverso una lunga e complicata storia d’amore “impossibile”. In questo senso, ci piace pensare a “Spanish Blues” come a un vero e proprio concept album, che è centrato su tre temi fondamentali: il viaggio, l’amore e l’amicizia. Il tema del viaggio è il fulcro dei brani “Town of The Angels” (dedicato al villaggio di Mijas, in Andalusia) e “Two Thousand Zero Two” (che rievoca le immagini della prima gita in Spagna). “Fair Of Malaga” è un tributo alla celebre “Feria de Málaga”, che ogni agosto richiama turisti da tutto il mondo. “Leganes Tryp” racconta, invece, di un viaggio a Madrid, intrapreso da Mitch per ricongiungersi alla propria musa, ma conclusosi amaramente: “Alcohol Woman” ne rilegge gli strascichi, culminati in un’allucinazione alcolica. Il cerchio, infine, si chiude con “Country Love”, che dopo un crescendo strumentale sfocia in una danza irlandese. L’amore è il filo conduttore di “Moon Of My Life”, “Star (She Lives So Far)” e della title track “Spanish Blues”, un terzetto di canzoni che Mitch ha dedicato alla ragazza di cui s’era perdutamente innamorato durante i suoi viaggi in Spagna. Infine, il tema dell’amicizia si ritrova in “Song For A Friend”, che evoca la forza di questo sentimento, anche di fronte alle più dolorose avversità.
6. Quali sono i vostri progetti futuri?
Siamo reduci dal primo spettacolo di presentazione dell’album “Spanish Blues”, che si è svolto presso il Teatro Comunale di Lograto (BS), e che ha avuto un buon riscontro di pubblico. Siamo rimasti molto soddisfatti di questa serata e, per questo motivo, stiamo già pensando ad altri eventi di presentazione del disco, in location altrettanto suggestive. Siamo convinti che lavorare sodo ed avanzare un passo per volta siano le chiavi per farci conoscere ad un numero sempre maggiore di appassionati a Brescia e nel resto d’Italia. Guardando ancora più avanti nel tempo, ci piacerebbe che la collaborazione con (R)esisto Distribuzione continuasse anche dopo “Spanish Blues” e desse origine ad altri album degni del loro predecessore. Il materiale per poter confezionare un secondo e un terzo album ci sono già. Le cose che mancano, per il momento, sono il tempo e le risorse per poterli sviluppare e per farli diventare realtà: ma, se lavoriamo bene nei prossimi mesi e creiamo basi solide su cui costruire i nostri progetti futuri, nulla è impossibile.
7. Musicalmente parlando, qual è il vostro sogno nel cassetto?
Il nostro “sogno nel cassetto” è presentare “Spanish Blues” là dove tutto ha avuto origine: ovvero, in Spagna. Riuscire a organizzare una mini-tournée in Andalusia, tutta sulle note di “Fair Of Malaga”, sarebbe un’immensa soddisfazione per tutta la band!
8. Se doveste consigliare tre band contemporanee, quali scegliereste?
Partiamo sicuramente dai Gov’t Mule, una band che calca i palcoscenici internazionali da circa 20 anni, ma della quale non tutti probabilmente hanno ancora sentito parlare. Li menzioniamo perché, pur essendo partiti dal filone del Southern Rock, nel tempo hanno fatto evolvere il loro sound, amalgamandolo con elementi presi dai generi musicali più disparati: funk, hard rock, progressive, jazz, folk. In qualche modo, ci riconosciamo nella loro volontà di “mettersi in gioco” e sperimentare altre sonorità, senza porsi dei limiti. Il secondo nome che ci viene in mente non è di una band vera e propria, bensì di un giovane bluesman americano, nostro coetaneo: Gary Clark Jr. Ascoltando le sue canzoni, si sente che rendono omaggio ai padri del blues americano, eppure hanno anche un groove e un “tiro” pazzeschi e, per questo, suonano “moderne”.
Infine, scegliamo i Rolling Stones perché, nonostante siano attivi ormai da oltre 50 anni, riescono ancora a “lasciare il segno” sulla scena musicale: se non è la definizione di “band contemporanea” questa, cosa altro dovrebbe esserlo?