È ormai appuntamento fisso di Modena il NODE (14 - 17 novembre), festival dedicato alla ricerca musicale e alla sperimentazione elettronica, caratterizzato da un singolare approccio olistico alle arti d’avanguardia: video, musica, design e danza.
L’apertura è affidata al vibrafono di Masayoshi Fujita presso la chiesa di San Bartolomeo e alle sonorità drone-sintetiche di Caterina Barbieri che si esibisce al planetario di Modena, anticipando le due serate main del venerdì e del sabato.
Venerdì la sala vuota della Galleria Civica invita gli spettatori a sedersi “comodamente” a terra per assistere alla performance audiovisiva dello sloveno Tadej Droljc con la sua Capillaries Capillaries. Progetto in cui i suoni elettronici innescano e modificano le polveri e le particelle proiettate su schermo e che, in una mutua e inaspettata relazione di dipendenza, influenzano a loro volta la composizione musicale. Seguono le visioni sonore di Pilia e Pupillo, già rispettivamente chitarrista dei Massimo Volume e bassista degli Zu. La rassicurante presenza di strumenti ordinari, chitarra, basso e piano, è solo l’elemento di innesco di un processo sonoro che passa attraverso un poderoso impianto analogico e che, infine, fa della trasmutazione il reale protagonista della sessione. Le ossessioni musicali e visive dei Visible Cloaks sono le protagoniste dell’ultima sessione della serata con suoni che si alternano in un equilibrio tra influenze giapponesi, in particolare il ritualismo ambient di Sakamoto, ossessioni ‘80s con il riadattamento elettronico di xilofoni e flauti e una composizione completamente basata su moduli e cluster.
Il teatro anatomico ospita, nel pomeriggio successivo, la ricerca sonora di Tomoko Sauvage, ispirata dallo Jal Tarang, strumento di origine indiana composto da catini riempiti di acqua. Graffi, percussioni sulla porcellana, smorzamenti delle superfici d’acqua e oggetti immersi sono alla base delle sonorità che sono amplificate da speciali microfoni subacquei immersi nei catini.
L’ultima serata, tenuta al teatro Storchi, è aperta dal ballerino d’avanguardia Hiroaki Umeda, con il suo progetto “Intensional Particle” in cui la musica si fa visual, il visual diventa movimento e infine il movimento si trasforma in danza per ritornare nuovamente musica. Una performance totalizzante con sfondi composti di linee e punti in continua evoluzione. A chiudere il festival c’è Ben Frost, australiano di nascita ma islandese di adozione, in tour per il suo ultimo lavoro “The Centre Cannot Hold”. Fredde atmosfere dal colore blu oltremare evocano il gelo islandese, suoni dilatati e vibranti che sono interrotti dalla drastica ferocia di ritmiche e bassi simili a tuoni, presagendo un mondo senza umanità. A dare forma all’ossessione cianotica di Ben Frost ci sono le luci e le proiezioni di MFO, visual artist già collaboratore per l’Atonal di Berlino.
Gianmarco Cappellano