Esce venerdì 7 ottobre 2022 il nuovo album del cantautore romano ma milanese di adozione Luca Gemma. "Fantastiche visioni" esce su tutti gli store digitali per Adesiva Discografica e si compone di 10 tracce, già anticipato dai singoli "Sul precipizio" e "Né santo né killer". Atmosfere crepuscolari, alternative pop che si nutre di canzone d’autore e influenze internazionali. Benvenuti nel mondo sbilenco e visionario di Luca Gemma che non tarderete a riconoscere e ad accogliere.
Noi non vediamo l’ora di vederlo anche dal vivo, ma nell’attesa abbiamo avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con lui.
Ci piace molto come ti sei definito nel comunicato stampa, “sbilenco e visionario”. In quali modi sei così?
Lo sono nell’approccio alla musica, alla scrittura di canzoni e quindi alla mia visione delle cose. Per esempio in questo disco c’è un solo brano suonato a click, cioè sul metronomo. Gli altri nove sono costruiti sul mio “click personale” che è meno preciso del metronomo, però quelle versioni delle canzoni nate in un momento speciale mi piacevano molto e ho preferito tenerle così com’erano e lavorarci sopra sistemandole un po’, quando era necessario. Anche le strutture dei brani qui e là sono poco tradizionali per la forma canzone: pezzi bislunghi con code strumentali che conducono i brani improvvisamente da un’altra parte. Dal punto di vista delle parole io ovviamente racconto una mia visione delle cose che è anche frutto dell’immaginazione, perché la realtà alla fine, oltre a essere a volte sgradevole, è sempre soggettiva e per metterla in una canzone, come in un racconto, un film, una poesia, ne prendi un pezzo, la smonti e la rimonti a tuo piacimento. Una canzone è un pezzo di realtà trasfigurata da una bugia e quando viene bene sembra più vera del vero. E io cerco quella cosa lì!
E in una scena musicale dove sembra imperante la perfezione, anche estetica. Quanto coraggio ci vuole ad essere “sbilenchi”?
Il coraggio è nell’inseguire una propria idea musicale, estetica e artistica, rimanendo quindi in contatto profondo con se stessi. Ma anche a me piace sentire che le cose suonino bene, anzi molto bene, e non mi frega niente di fare stranezze per il gusto di farle. Solo che cerco un’autenticità e una verità espressiva che può anche mettere in conto l’errore. Anzi dall’errore nascono spesso strade inesplorate, almeno per me. E poi io nelle canzoni e nella musica, anche quella che ascolto, devo sentire il lato “umano” e imperfetto e non sopporto le cose e i sentimenti di plastica.
Questo disco è uno dei cosiddetti “figli della pandemia”? Non hai mai paura di tornare, o far tornare, a quel periodo?
Il disco ha iniziato a prendere forma prima della pandemia, poi certamente ci si è trovato dentro fino al collo, ma è stato per me di grande stimolo quotidiano durante la clausura: mi piaceva svegliarmi e registrare parti di chitarra e pianoforte per esempio. È stato la mia salvezza. Un disco si porta sempre dietro un pezzo di vita e la pandemia è una delle cose che ci sono accadute in questi ultimi anni, ma non l’unica. Quindi dentro c’è molto altro, compresa l’idea che l’immaginazione ti salva dalla realtà, come dicevo prima.
Che ne è della Milano musicale dopo tutto quello che è successo?
Hanno chiuso alcuni club importanti per la vita musicale e culturale della città e in questo momento ce ne sono pochi. Ma la crisi di pubblico per certa musica c’era già prima della pandemia e la musica in generale fa da tempo i conti con la crisi economica e con l’abitudine che debba essere gratis.
Ti vedremo presto anche dal vivo?
Sicuramente sì, sto per iniziare le prove con i musicisti. Partiremo a gennaio.